Q&A
Di seguito un elenco di Q&A dedicate ai meno esperti del settore per comprendere a fondo i temi trattati in questo sito.
Cos’è il CSS?
Il CSS (Combustibile Solido Secondario) è un combustibile ottenuto dalla componente secca (plastica, carta, fibre tessili, ecc.) dei rifiuti non pericolosi, sia urbani sia speciali, tramite appositi trattamenti di separazione da altri materiali non combustibili, come vetro, metalli e inerti.
Attraverso processi di selezione dei materiali riciclabili e di eliminazione della frazione organica e delle sostanze non combustibili, il CSS rappresenta un ottimo combustibile poiché possiede un elevato potere calorifico dal quale è possibile, attraverso un impianto di recupero energetico, ottenere energia elettrica.
Il CSS può trovare impiego in:
• impianti industriali esistenti in sostituzione ai combustibili tradizionali;
• combustori dedicati al suo utilizzo specifico per la produzione di energia elettrica.
Cos’è un combustore con letto fluido bollente?
Il sistema di combustione dell’impianto, scelto sulla base delle caratteristiche del combustibile utilizzato e sulla base delle migliori prestazioni ambientali, utilizza un forno a letto fluido bollente.
I combustori a letto fluido bollente sono sistemi atti alla realizzazione di combustione allo scopo di produrre energia sotto forma di calore: operano a temperature comprese tra 800 °C e oltre i 1000 °C, con pezzature tra 1 mm e 10 cm.
La tecnologia del forno a letto fluido porta in sé i vantaggi di seguito brevemente elencati:
• elevata efficienza di combustione (oltre 99%) dovuta alla contemporaneità di tre fattori determinanti nella combustione quali: temperatura, turbolenza e tempo di residenza. In presenza di queste condizioni si viene a creare una miscela molto intima tra combustibile e comburente che rimangono in contatto per lungo tempo all’interno del letto fluido che funge da “volano termico” mantenendo la temperatura di combustione ottimale;
• elevata stabilità della combustione al variare delle caratteristiche del combustibile grazie al “volano termico” sopra citato;
• temperature di combustione relativamente basse. Grazie alle condizioni precedentemente descritte, la combustione completa è ottenibile con temperature più basse di quelle normalmente incontrate nel caso di altri sistemi. Questo riduce drasticamente la formazione di NOX;
• riduzione delle emissioni di SOX mediante abbattimento con Carbonato di Calcio (CaCO3) e/o Dolomia MgCa(CO3)2.
Inoltre il suo funzionamento è basato sul ciclo di Rankine. Il fluido utilizzato in tale ciclo è l’acqua che da un serbatoio di alimentazione giunge alla caldaia, all’interno della quale viene vaporizzata. L’energia potenziale del vapore viene trasformata in energia cinetica nei condotti che conducono alla turbina. In turbina il flusso di vapore si espande e mette in movimento il rotore della turbina stessa, che, collegato a un alternatore, produce energia elettrica. All’uscita della turbina il vapore esausto entra in un condensatore in cui, raffreddandosi, raggiunge la fase liquida per riprendere un nuovo ciclo.
In linea generale, vengono spesso sollevati dubbi sulla reale necessità di dotarsi sul territorio di impianti di recupero energetico dei rifiuti.
È vero che negli altri paesi europei non si costruisce più questo genere di impianti?
Non è vero, ne sono un esempio Martin, VonRoll e Stiefel, tre dei principali costruttori europei, che dal 2000 hanno ricevuto ordini per nuovi impianti o per sostituzione di impianti esistenti, da realizzare entro il 2011, per una capacità complessiva di circa 13.500.000 t/anno.
I dati riportati da Federambiente indicano numerosi impianti di recupero energetico in costruzione in Europa tra i quali circa 16 in Germania, da 5 a 8 in Svezia, 5 in Austria e in Francia, 3 in Irlanda, 2 in Belgio, in Olanda e nella Repubblica Ceca, uno ciascuno in Danimarca, Finlandia e Svizzera.
Come viene gestito in Europa il problema dei rifiuti?
Nei paesi d’Europa considerati “virtuosi” (Germania, Danimarca, Svezia, ecc.) il problema dello smaltimento dei rifiuti è stato risolto e stabilizzato, diminuendo la produzione di rifiuti, aumentando la raccolta differenziata e riducendo i conferimenti in discarica.
Il sistema si chiude e si ottimizza attraverso la valorizzazione dei rifiuti.
Infatti in Germania esiste una potenzialità annua di combustione di circa 180 kg/abitante contro i 53 kg/abitante in Italia.
Questo spiega perché nelle ricorrenti emergenze italiane si sono smaltiti, a caro prezzo, rifiuti negli impianti tedeschi.
La Germania ha raggiunto a livello nazionale un recupero di rifiuti di circa il 55%, il più elevato in Europa come media nazionale, produce energia con circa il 25% di essi e invia in discarica il rimanente 20%.
Esistono tecnologie alternative alla combustione, utilizzabili su scala industriale, che non prevedano emissioni inquinanti?
Non esistono tecnologie alternative su basi industriali consolidate ed affidabili.
Tra Europa, USA e Giappone sono operativi circa 500 impianti di recupero energetico. Si tratta per lo più di forni a griglia e a letto fluido; l’8% è costituito da gassificatori, nelle diverse varianti tecnologiche (forni fusori, pirolisi ecc.) con una netta prevalenza dei primi negli utilizzi industriali.
Esistono rischi per la salute legati alle emissioni di diossine o di nanoparticelle imputati agli impianti di recupero energetico?
La maggioranza degli studi scientifici nazionali e internazionali concordano sul fatto che se la progettazione e la gestione di questi impianti è operata correttamente, e, in particolare, se vengono adottate le BAT, le Best Available Technologies, ovvero le migliori tecnologie disponibili, la presenza di impianti di recupero energetico non è una minaccia né per l’ambiente né per la salute.
A riprova di ciò vi sono affermazioni contenute in numerosi documenti tra cui:
• la Posizione dell’Associazione Italiana di Epidemiologia, dell’aprile del 2008, che esclude rischi per la salute in presenza di impianti tecnologicamente avanzati;
• il documento “Population health and waste management: scientific data and policy options”, dell’OMS, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, presentato nel marzo del 2007 a Roma;
• un documento del Ministero dell’Ambiente tedesco che dimostra come, con il passaggio alle nuove tecnologie, le emissioni inquinanti degli impianti di recupero energetico si siano ridotte di 1000 volte;
• le dichiarazioni pubbliche dei più autorevoli oncologi italiani fra cui: Umberto Veronesi, direttore scientifico dell’IEO di Milano, Francesco Cognetti, ex presidente AIOM e di Umberto Tirelli, Primario del Centro di Riferimento Oncologico di Aviano, Massimo Federico, Direttore del Centro Registro Tumori di Modena.
Inoltre dall’inventario delle diossine, i cui dati sono stati pubblicati nell’ambito del V programma dell’Unione Europea, risulta che, in comparazione con tutti gli altri settori dell’attività umana responsabili della loro emissione, quello degli impianti di recupero energetico abbia ottenuto i maggiori risultati di riduzione delle stesse grazie alle tecnologie di abbattimento.
Anche in merito alle polveri ultrafini, meglio note come nanopolveri sulle quali le conoscenze disponibili sono scarse e frammentarie, risulta difficile attribuire maggiore responsabilità sulla salute umana a determinati impianti senza preoccuparsi delle altre fonti di emissione, come il traffico veicolare, il riscaldamento domestico o altre tipologie industriali, ancora più evidenti in alcuni contesti come le grandi città o in aree particolarmente critiche.
Si sente genericamente parlare delle ricadute negative per i terreni agricoli limitrofi agli impianti di recupero energetico. Esiste un reale problema?
Una valutazione puntuale della questione porta a escludere motivi di preoccupazione in merito a possibili effetti negativi dell’esercizio degli impianti di recupero energetico sulla qualità dei suoli agricoli.
Su esplicita richiesta della Coldiretti di Foggia, è stato infatti condotto dal Dipartimento di Produzione Vegetale dell’Università degli Studi di Milano uno studio che ha fornito risultati rassicuranti a riguardo.
La conclusione che assume lo studio è che le attuali tecnologie messe a punto per il processo di combustione del CSS, se ben progettate e condotte, possono inserirsi in un contesto ritenuto sensibile quale quello agricolo. Valutazione avvalorata anche dai risultati dello Studio dell’Istituto Sperimentale Atmosferico del CNR sulle ricadute dell’impianto di Manfredonia soprattutto laddove si afferma che, anche nel caso in cui per un periodo di 20 anni di attività le emissioni fossero equivalenti a quelle massime autorizzate, si raggiungerebbero apporti al suolo inferiori ad un punto percentuale (0,96%) rispetto al limite del D. Lgs. 471/99. In particolare, dalla campagna di rilevamento condotta sull’impatto esercitato dalla centrale di Massafra sull’ambiente circostante, lo studio dell’Università di Milano trae gli elementi incontestabili per poter affermare che non sono intervenute variazioni nel corso del tempo sulla qualità del suolo e dei tessuti vegetali.
Con quali criteri è stata stabilita la localizzazione dell’impianto di recupero energetico a Manfredonia?
In fase di progettazione sono stati valutati gli elementi che garantiscono all’impianto le migliori soluzioni in termini di riduzione degli impatti ambientali; trattandosi di un impianto atto alla produzione di energia elettrica la scelta è stata effettuata tenendo soprattutto conto delle condizioni già esistenti in merito alla possibilità di allaccio diretto all’elettrodotto preesistente.